La media è di oltre due morti al giorno. Sono 189 le persone che hanno perso la vita nei primi tre mesi del 2022. E altre 28 ad aprile.

RAFFAELE TOVINO*

La media è di oltre due morti al giorno. Sono 189 le persone che hanno perso la vita nei mi tre mesi del 2022.

Alle quali vanno aggiunte ancora le vittime di aprile, che sono 28. Secondo l’Inail, in occasione della Giornata mondiale per la salute e la sicurezza sul lavoro, questo trend drammatico non smette di flettere, anzi è in aumento. E l’incremento è sensibilmente più alto tra le lavoratrici.

È con questo bilancio preoccupante, anzi impressionante, che si giunge al primo maggio di quest’anno, Festeggiare è giusto, ma dobbiamo intenderci per che cosa. Si torna al lavoro in forma fisica, dopo mesi di lockdown, ed è un bene. Abbiamo sperimentato quanto siano state utili le forme di lavoro a distanza che hanno permesso la tenuta di intere catene produttive e che serberemo come possibilità per il futuro, anche ai fini del contenimento dell’inquinamento delle città. Mala nuova distribuzione del lavoro, specie quella che riguarda i giovani, pone diversi interrogativi ai quali dovremo necessariamente rispondere. E a stretto giro. Free lancing e lavoro a chiamata non possono essere modalità dietro cui si celano forme nuove di sfruttamento.

Ma è l’emergenza delle morti bianche che in questa giornata lascia una ferita nella coscienza di tutti noi.

E in tal senso è da rimarcare positivamente, tra le altre, la pubblicazione del libro di Marco Patucchi intitolato “Morire di lavoro”, raccolta dii storie che Repubblica “ha deciso di sottrarre alla banalità delle statistiche”. Affinché le vittime sul lavoro non siano soltanto numeri. Dietro il rigore algido dei “dati, ci sono storie di uomini in carne e ossa. Esistenze il qui valore rischia di essere dimenticato. Il volume vuole quindi essere un monito rivolto ai decisori politici e alle istituzioni, ma soprattutto alle nostre coscienze.

Tante vite spezzate sui luoghi dove avrebbero dovuto trovare risposta ai bisogni di uomini e donne e a quelli delle loro famiglie.

Perciò è importante non abbassare la guardia mai smettere di parlare di sicurezza sul lavoro, come lo stesso presidente dell’Inail Franco Bettoni raccomanda: «Bisogna partire dai banchi di scuola, tenendo il tema al centro dell’attenzione pubblica non meno che della vita familiare quotidiana», perché quando una persona muore sul posto di lavoro <viene stravolta la vita ci tuttala sua famiglia».

Concetti che trovano eco nelle parole dell’ex ministro Cesare Damiano che prova a focalizzare l’aspetto del costo sociale delle morti bianche: «Il costo degli infortuni incide del 3% l’anno sul Pil, circa 45 miliardi di euro». E sopra tutti c’è la giusta enfasi morale nel monito di papa Francesco, il quale ricorda che «più curiamo la dignità del lavoro e più siamo certi che aumenterà la qualità e la bellezza delle opere realizzate».

Tenere alta la guardia sulle morti da lavoro. È questo uno degli slogan del primo maggio. È necessario farlo perché, come sottolinea Petacchi nel suo libro, “gli incidenti sul lavoro sono materia infida, facile a mimetizzarsi, per sfuggire allo sguardo”, Le storie che sfociano in Un incidente, lieve o grave che sia, si presentano spesso con i crismi della apparente banalità, una sorta di assurda meccanica del “si è sempre fatto così”, soprattutto in regioni come quelle del nostro Meridione, dove talvolta l’unico obiettivo che sembra legittimo porsi è “lavorare”, senza farsi altre domande. Attribuendo, quando il dramma si manifesta, ogni colpa al caso, mentre le responsabilità si chiamano “risparmio”, sfruttamento, manutenzione assente o approssimativa. Secondo il presidente di Confindustria Carlo Bonomi gli imprenditori italiani sono “eroi civili” perché stanno contendendo l’inflazione. Eroi privi di adeguato riconoscimento sono, non di meno, i lavoratori. In termini sono più bassi di quelli di 30 anni fa. Ed è la nazione che ha il poco invidiabile primato europeo delle vittime sul lavoro.

*fondatore di Enbiform